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Vera Gheno



Vera Gheno è una sociolinguista specializzata in comunicazione digitale (traduce anche dall’ungherese), insegnante all’Università di Firenze.

Collaboratrice da vent’anni con l’Accademia della Crusca, ne gestisce l’account Twitter e lavora nella consulenza linguistica.

Nella sua carriera scrive articoli scientifici e divulgativi. In questi saggi tratta di questioni di genere, identità, diversità, equità ed inclusione.

Dati i temi particolarmente delicati che Vera Gheno è solita trattare, in una intervista per la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli le viene chiesto come mai “non si possa più dire niente”, meccanismo alla base della cancel culture. Come soluzione, ella afferma come la prima manovra da fare sia quella di dare ascolto a chi non era ascoltato fino ad oggi, senza seguire per forza l’opinione di massa. Un chiaro esempio che porta è quello dei ciechi, chiamati “non vedenti” pensando di essere gentili nei loro confronti, quando in realtà loro stessi preferiscono essere chiamati ciechi che “non - qualcosa” (come a sottolineare la loro mancanza).

Il linguaggio, secondo la sociolinguista, è la cartina tornasole della società e della cultura che lo genera. Chiaro esempio è la forma maschile delle parole, un dato extralinguistico che deriva da condizionamenti esterni. Spesso prestiamo poca attenzione ai campi semantici a cui fanno appello gli insulti più frequenti: nei confronti delle donne fanno riferimento al meretricio e al comportamento sessuale mentre nei confronti degli uomini si riferiscono comunque alle donne (“figlio di…”, “tua madre…”, “cornuto”). Per quanto sembrino quisquilie, rendono consapevoli di determinati squilibri.

È difficile rendere le persone consapevoli del potere delle loro parole, raramente si fanno riflessioni a riguardo (in maniera così specifica) a scuola e si tende a sottovalutare il proprio ruolo all’interno del cambiamento sociale, culturale e linguistico. Bisogna riprendere queste basi e farsi delle domande a riguardo. Uno degli effetti principali della parola è rendere visibile ciò che non vediamo: un modo più attento di nominare le cose contribuisce a dare una forma diversa alle cose stesse. Questo discorso è molto importante in rapporto alle critiche verso i nomi femminili dei mestieri (come “ministra”), corretti secondo la lingua italiana e utili a rendere ancor più normalizzata nella nostra testa l’idea di una lavoratrice donna.

Vera Gheno è decisa però a non insistere, mai. È la goccia che scava la pietra, se a qualcuno in una conversazione non dovesse andare bene qualcosa, non si farebbe problemi a fare un passo indietro.

È necessario però, secondo lei, rivedere i libri di testo scolastici e dare più spazio alla presenza femminile.

In una seconda intervista, più “spettinata”, a Fanpage, l’intervistatore le chiede in maniera quasi provocatoria il femminile di diversi termini (come medico e avvocato). Lei risponde senza alcun timore “medica” e “avvocata”, in quanto esistono nel dizionario e senza neanche pensarci troppo sono parole che usiamo già (come “erba medica”).

Vera cita, per spiegare le difficoltà causate dal cambiamento sociale, un passaggio di una canzone dei Subsonica: “sono cambiamenti solo se spaventano”. Il cambiamento non è lo stato naturale dell’essere umano.

Tema molto caro alla Gheno è quello dello Schwa, un simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale (Ə), dal suono simile a una vocale pronunciata con la bocca non troppo aperta. A chi lo reputa poco pratico, la sociolinguista controbatte: nel quotidiano utilizziamo le parole che ci servono, non quelle che suonano meglio. Lei stessa utilizza questo simbolo nei suoi libri per poter riferirsi a tuttə (un esempio di uso corretto dello Schwa).

Il linguaggio, per la linguista, è un superpotere che permette di uscire da situazioni difficili. Sei d’accordo?

Fonti: Einaudi, il Libraio, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fanpage

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